Incontro sulla vendita delle terre demaniali 10.07.2012

Martedì 10 luglio 2012
ore 21.30
Caffè Notte – Via delle Caldaie 28/r Firenze

INCONTRO SULLA VENDITA DELLE TERRE DEMANIALI

L’articolo 66 del decreto Salva Italia del governo Monti apre alla svendita dei terreni agricoli demaniali per fare cassa, andando ad attaccare anche le aree protette.
Una disposizione che va ad aggravare quanto già fatto dagli enti pubblici locali, che per mancanza di fondi e soprattutto di volontà, sono anni che procedono sistematicamente allo smantellamento del tessuto sociale italiano, riducendo i servizi o privatizzandoli per evitare i problemi legati alla loro gestione, forse senza rendersi conto che così facendo ammettono la loro incapacità di amministrare la cosa pubblica e di non essere quindi all’altezza del mandato conferito loro dai cittadini, quando mandato c’è stato e non si tratta soltanto di una spartizione di poltrone per appartenenza politica.
Svendere i terreni demaniali significa anche rinunciare definitivamente alla propria sovranità alimentare, pilastro ed elemento insostituibile di una qualsiasi economia nazionale che possa sperare di avere un futuro. Non incentivare realmente l’accesso diffuso alla terra da parte dei giovani significa dire addio definitivamente alla biodiversità e a un bagaglio culturale millenario immenso, per arrendersi all’appiattimento dettato dalle economie di grande scala e dai calcoli finanziari.
Non possiamo permetterlo. È necessario contrastare questo disegno ultraliberista, con proposte, esperienze, azioni.
Alleanza Lavoro Beni Comuni Ambiente
ne parla con gli agricoltori dell’area fiorentina.

“La terra sostiene la nostra vita sulla Terra, e la Terra non discrimina tra giovani e vecchi, ricchi e poveri, per lei tutti i figli sono uguali.
Noi siamo legati alla Terra dal momento che ognuno riceve una giusta, equa e sostenibile parte di risorse: la biodiversità e i semi, il cibo che i semi ci procurano, la terra su cui possono crescere i cibi, l’acqua che scorre nei nostri fiumi e anche l’aria dell’atmosfera che respiriamo. La più grande sfida che dobbiamo fronteggiare oggi è quello che ho chiamato la rapina dei nostri beni comuni da parte delle multinazionali. I semi come beni comuni sono stati sottratti tramite la privatizzazione e brevettazione, l’acqua è stata privatizzata tramite leggi, la terra è stata privatizzata e rubata nei paesi poveri, in India, in Africa, ma anche nei paesi ricchi a causa dell’aggravarsi della crisi economica. Le vere forze che hanno generato la crisi, tramite una morte finanziaria, ora vogliono appropriarsi del benessere reale della società e del futuro, vogliono appropriarsi dell’acqua e della terra.
Penso che in questo momento di crisi,  di crisi economica, la terra è l’unico luogo in cui possiamo ritornare per ricostruire una nuova economia; e ogni governo alle generazioni future dovrebbe dire: “non abbiamo molto altro da darvi: abbiamo perso la capacità di darvi lavoro, sicurezza sociale e garantirvi un decente tenore di vita. Ma la terra ha ancora questa capacità, noi consegniamo le terre pubbliche agli agricoltori del futuro: provvedete a voi stessi”. Questo è un obbligo, visto il fallimento dei governi, nell’attuale sistema economico, nel prendersi cura dei bisogni della gente; la terra può prendere cura dei nostri bisogni, la comunità può prendersi cura dei nostri bisogni. E se vogliamo avere un’economia viva, e dobbiamo averla, e se vogliamo avere una viva democrazia, la terra deve essere al centro di questo rinnovamento: dalla morte e distruzione alla vita.
Mettere la terra nelle mani delle generazioni future è il primo passo, e se non lo faranno, seguendo la strada giusta, invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze; voi dovete fare un dono al futuro dell’umanità.”

Vandana Shiva

credito: Navdanyainternational.it

“La dittatura del catechismo del pensiero unico e del suo clero è tale che sembra vergognoso e addirittura reazionario trarne le conseguenze e raccomandare una protezione ragionevole. Questo protezionismo dichiarato non andrebbe certo contro i paese sottosviluppati, ma servirebbe a liberare gli uni e gli altri dal “tiro al bersaglio” della mondializzazione. In altre parole, è necessario riabilitare un protezionismo selettivo di fronte all’impero indecente del libero scambio sfrenato. Una popolazione non può vivere dignitosamente se non produce, almeno in parte, anche con qualche difetto, i prodotti di cui ha un bisogno essenziale. Ridurre alla miseria e alla disperazione intere regioni, con tutto il seguito di drammi familiari e individuali che questo implica, in nome di un calcolo economico ottuso che non tiene conto né dei patrimoni organizzativi e culturali acquisiti, né dell’impatto ambientale, è irragionevole e spesso criminale.
Né il corpo, né la terra, né i beni ambientali dovrebbero essere normalmente considerati delle merci come altre, visto che riguardano l’uomo, la sua vita, la sua cultura e i suoi legami. Senza essere vietate, le transazioni che riguardano questi beni dovrebbero essere regolamentate in ambito locale, regionale, nazionale e internazionale, sulla base di un ampio dibattito democratico e non da comitati di ‘garanti’ o di esperti. Questi ultimi sono, infatti, solo degli alibi, quando non rappresentano gli interessi stessi delle aziende multinazionali coinvolte.
Non dovrebbe essere ammesso che popolazioni, collettività intere, siano costrette dalle ‘leggi del mercato’ ad essere spogliate delle loro terre, delle loro risorse naturali, né tanto meno a vendere chi ne fa parte, interi o a pezzi, come spesso succede oggi.
Tutta la produzione su scala locale che è possibile pensare localmente deve essere realizzata localmente. Un tale principio è di buon senso: è assurdo guadagnare qualche euro per produrre un bene a un costo inferiore, se bisogna pagare molto di più in oneri legati a quella frazione della popolazione che viene esclusa dalla produzione”.

credito:
Serge Latouche – IL PENSIERO CREATIVO CONTRO L’ECONOMIA DELL’ASSURDO

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